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Stazione degli autobus di Arequipa – 27 settembre 2019
Dopo aver ritirato gli zaini in ostello chiamiamo un taxi e aspettiamo il suo arrivo lungo la strada deserta. Il taxista arriva dopo pochi minuti, imbarchiamo i nostri pesanti fardelli e montiamo a bordo. Le vie del centro scorrono confuse fuori dal finestrino, come fuggenti sfumature impercettibili, mentre la macchina procede verso la stazione degli autobus. A differenza di stamattina non c’è traccia del minimo traffico, e arriviamo a destinazione dopo una mezz’oretta, verso le 23. Attorno a noi c’è tutto quello che ci si può aspettare di trovare in un posto del genere a quest’ora della sera. Tutto è riassumibile con una singola parola. Caos. I pochi venditori ambulanti di “comida rapida” servono gli ultimi avanzi della giornata ai piccioni e cani randagi di passaggio, sicuramente i loro unici clienti abituali. Se si fosse appena svolto un mercato ortofrutticolo, o se si fosse combattuta una guerra di quartiere lanciando verdure, la strada sarebbe più pulita di come appare ora. L’asfalto martoriato è in gran parte coperto da foglie di insalata, strappate irregolarmente come la carta regalo stracciata violentemente da un bambino per natale, da resti informi di qualche pomodoro e da diversi pezzi di pane, troppo duri persino per i piccioni, non certo gli animali più schizzinosi in materia di pane. La puzza nauseabonda di questo marciume si disperde nell’aria come un gas irrespirabile. Abbandoniamo velocemente la strada.
Entriamo nella stazione, un grande edificio alto e spoglio, costruito con il solo obiettivo di essere un luogo di attesa e di passaggio, e non certo per competere con la cattedrale per il posto di meraviglia architettonica della città. Se penso al termine “fatiscente”, mi viene in mente questo luogo. Fino ad ora, per i viaggi notturni in bus, ci eravamo sempre affidati alla compagnia “Cruz del Sur”, la più turistica qui in Perù. Per la tratta di stanotte, però, abbiamo dovuto cambiare. Tacna è fuori da qualsiasi itinerario, nessun turista con la testa a posto vorrebbe mai visitare questa anonima città. Sarebbe come dire “Vado in Italia a visitare Casalpusterlengo”. Nessuno, tranne noi. Certo, la nostra intenzione non è sicuramente quella di trascorrere più del tempo necessario per trovare un altro bus e varcare la frontiera con il Cile, ma siamo comunque costretti a passarci. Così come uno è obbligato a passare per Casalpusterlengo se vuole andare da Modena a Milano, ma non ha abbastanza soldi per un Frecciarossa. Con l’unica differenza che a Tacna dovremo scendere e cambiare mezzo (e che non si tratta di treni).
Le compagnie a disposizione sono poche e, a differenza di “Cruz del Sur”, sono tutte ideate per soddisfare le esigenze della popolazione locale, e non certo dei turisti europei o americani, quindi sono molto lontane dagli standard ai quali siamo abituati. Niente sedili reclinabili, niente poltrone spaziose, niente copertine in omaggio. Niente. Almeno, però, una di queste aveva un sito web, e così, senza starci troppo a pensare, stamattina abbiamo comprato i biglietti per un bus di mezzanotte. Ora non ci resta che andare nell’ufficio dell’agenzia e imbarcarci. Dopo aver passato almeno cinque minuti a cercare l’insegna tra l’infinità di pannelli pubblicitari, troviamo quella che indica il nostro ufficio. L’impiegata in servizio si nasconde parzialmente dall’altro lato del banco, dietro allo schermo del computer. Quando avverte la nostra presenza stacca gli occhi dal monitor e li fissa su noi tre, lentamente, come se questa operazione le costasse fatica. La sua espressione è quella tipica e inconfondibile dell’impiegata annoiata a fine turno, che ha ormai svolto tutti i lavori che doveva svolgere, e non si aspettava di doverne più svolgere altri. Probabilmente stava giocando al computer prima che arrivassimo noi a interromperla. Le porgiamo i biglietti, stampati su un foglio di carta. Li prende allungando una mano, tornando con lo sguardo sul computer. Li scruta digitando qualcosa sulla tastiera, battendo pesantemente sui tasti. Più i secondi passano, più il suo viso si fa perplesso. Aggrotta la fronte, inarca profondamente le sopracciglia. Più che leggere semplicemente un biglietto e riportarne i dati sul computer, si sta atteggiando come se le avessi passato un’equazione da risolvere. È in palese difficoltà. Dev’esserci qualcosa che non va, deduco. Mentre lei ripete i passaggi che ho appena descritto un altro paio di volte, la mia attenzione si sposta vero la tabella in cui sono riportati, alle sue spalle, gli orari dei bus per Tacna. 21.30, 22.30, 23.30…6.30. Cosa? Il mio brutto presentimento si manifesta concretamente tramite questa tabella. Non sono previsti bus che partano per mezzanotte. “No salen buses a las 24”. Come se ce ne fosse bisogno, la voce dell’impiegata conferma i miei sospetti. Il nostro bus non esiste. Non potremo partire non perché siamo arrivati in ritardo o altro. Non potremo partire semplicemente perché abbiamo prenotato tre posti su di un bus inesistente. INESISTENTE.
L’impiegata ci guarda con un’espressione un po’ incredula e un po’ stupita. O forse solamente infastidita. Fino a pochi minuti fa non aveva altro da fare che contare i minuti restanti alla fine del turno e giocare tranquillamente al computer. Poi siamo arrivati noi, alle 23.45, a disturbarla dal suo lavoro e a interrompere la sua attività, tanto impegnativa per lei quanto indispensabile per la sua azienda. Come se questo non bastasse, ora la stiamo anche accusando di averci venduto dei biglietti per una tratta inesistente (accusiamo lei perché è la rappresentante della ditta, quindi è come se ce la stessimo prendendo con la ditta). Dopo avermi ascoltato esporre i nostri problemi in spagnolo (chissà che cazzo ha capito?) si difende. Il discorso che ci fa, tradotto direttamente in italiano, è questo. “Il bus esiste, solo che non partirà a mezzanotte, ma è già partito a mezzogiorno”. Correggo la mia affermazione di prima: siamo in ritardo di ben 12 ore, solo che non lo sapevamo. Com’è potuto succedere? In pratica, confondendo la dicitura “am” con quella “pm”, abbiamo sbagliato l’orario. È un po’ come quando su una porta c’è scritto “tira”, ma d’istinto, senza pensare a quello che stai facendo, invece di tirare come dovresti, spingi. Stessa cosa, solo che ora, a colpa di questa svista elementare, rischiamo di rimanere un’altra notte ad Arequipa. E di perdere l’aereo per Santiago. E, di conseguenza, di perdere l’aereo per tornare in Italia. Tutto per un semplice “pm”.
Quando siamo ormai sul punto di andarcene e chiamare un taxi per tornare in ostello, decisi a prendere il primo bus del mattino seguente, un uomo con indosso una camicia dell’azienda in questione spunta dalla porta, alle spalle dell’impiegata. Conversano rapidamente, poi, senza nemmeno essersi presentato a noi, ci fa cenno di seguirlo. “Vamos!”. Si, ma dove? Muove i primi passi velocemente, poi accelera sempre di più, mettendosi a correre tra la folla, ormai composta solo da qualche gruppo di persone in attesa, dell’autostazione. Lo seguiamo a fatica con i nostri zaini sulle spalle, oggetto dell’attenzione di tutti. Nel corso di questo viaggio abbiamo scalato le Ande (clicca qui se ti sei perso l’articolo), attraversato tempeste di neve a 5000 metri (clicca qui se ti sei perso l’articolo), pescato piranha in amazzonia (clicca qui se ti sei perso l’articolo) e, cosa più pericolosa di tutte, abbiamo perfino provato la pizza in una pizzeria a Cusco. Pensavo che le sorprese fossero finite e che, giunti al penultimo giorno di viaggio, non avremmo certo corso dietro a un ignoto in un’autostazione ad Arequipa. Evidentemente mi sbagliavo. Mai essere troppo certi di qualcosa, in Sud America. Usciamo dall’autostazione. Lui continua a correre imperterrito, senza voltarsi per accertarsi delle nostre condizioni. Torniamo sulla strada, facendo attenzione a non scivolare sulle foglie d’insalata. Entriamo in un altro edificio, affiancato da un piazzale che funge da parcheggio dei bus. In sosta, coi motori accesi e pronti a partire da un momento all’altro, ce ne sono ancora un paio. Uno dei due è della compagnia alla quale ci siamo rivolti noi. Vedo la scritta sulla fiancata e il logo ben impresso sul vetro inferiore. Il bus delle 23.30, dev’essere in ritardo. L’uomo ci fa accomodare in una sala d’attesa, animata solo da un addetto alle pulizie, poi scompare in una stanza angusta che dev’essere un ufficio. Si, è un ufficio, protetto frontalmente da una parete trasparente, per separare il banco dell’impiegato dallo spazio del cliente. Di clienti ovviamente non ce ne sono, chi doveva partire è partito, e chi doveva tornare è tornato. Per questo motivo siamo gli unici turisti qui. Una donna, l’impiegata di turno, ci osserva indifferente dall’altra parte del pannello separatore. Poi, quando scatta la mezzanotte, puntuale come Cenerentola e la sua scarpetta, spegne la luce e se ne va, accompagnata dall’addetto alle pulizie. A parte l’ignoto con la camicia, che sentiamo discutere animatamente con un altro uomo, ora siamo soli.
I due escono dopo qualche minuto dalla stanza, entrambi con l’aria di chi si è appena battuto dialetticamente fino allo sfinimento. L’ignoto con la camicia ci chiede se abbiamo dei soldi con noi. Si, ne abbiamo ancora. “Ho trovato posto per voi 3 sul bus delle 23.30. Ma dovrete pagare” ci dice l’altro uomo, con aria losca. Il Perù, paese dove puoi negoziare qualsiasi cosa. 20 soles. Prendere o lasciare. Ovviamente accettiamo, anche perché 20 soles sono solo 5 euro. Concluso l’affare, affare più per noi che per lui, l’uomo con la camicia, che ringraziamo caldamente con una sfilza infinita di “Muchas gracias”, se ne va. L’altro ci precede nello spiazzo, poi imbarca gentilmente i nostri bagagli nella stiva, ormai colma, del bus. Prima di salire ci spiega le nostre disposizioni sul mezzo. “Siccome il veicolo era pieno ma voi avete pagato, sono riuscito a rimediarvi tre posti. Due sono i seggiolini riservati normalmente alle persone disabili, l’altro è quello nella cabina, di fianco all’autista, che poi sarei io.”. Sicuramente non saranno i sedili migliori, ma a questo punto sono disposto a tutto pur di arrivare in quella cazzo di Tacna domattina. Checco va davanti, io e Ballo ci prendiamo i posti riservati ai disabili, che non si differenziano dagli altri per nessun motivo. Sono esattamente gli stessi, poco reclinabili e molto stretti. Nel bus, come previsto, siamo gli unici turisti. Tutti, compreso il mio vicino, sono peruviani. Mi sento osservato, come se mi trovassi al concerto dei Metallica con la maglia di Justin Bieber. Ma alla fine, dopo quasi un’ora di viaggio, il sonno prevale sulla soggezione.
Così, insieme a quella dell’ignoto con la camicia e quella corsa folle per rincorrere un bus parcheggiato dall’altra parte della strada, un’altra sorpresa inaspettata si aggiunge alla lista di oggi. Una sorpresa più piacevole delle altre. Anche se non l’avrei mai detto, visto la mia difficoltà ad appisolarmi sui bus lussuosi della “Cruz del sur”, ben diversi da quello in cui mi trovo ora, seduto su un seggiolino riservato ai disabili, in un bus praticamente riservato ai peruviani, mi addormento facilmente. Consapevole che questa avventura me la ricorderò a lungo. Perché anche gli imprevisti come questo, che all’inizio possono sembrare catastrofici, fanno parte dei viaggi. E viaggiare, anche per questo, rimane la cosa più bella che si possa fare. E poi, finalmente, ho capito la differenza tra “am” e “pm”.
Buonanotte.

Mi affascina molto il vostro racconto! Anche io avrei avuto in programma un viaggio in America Latina.. chissà quando potrò realizzarlo.. nel frattempo sogno con voi ed i vostri imprevisti.
Eleonora
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Grazie mille! Mi fa molto piacere che ti piacciano i miei articoli e che tu possa, leggendomi, viaggiare anche solo un po’ con la fantasia. Mi dispiace per il viaggio annullato, anche io ne avevo uno bello grosso in programma e non so bene quando potrò farlo. Ti capisco… Speriamo di poter tornare presto a viaggiare 🙂
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anche a me è capitata una volta una disavventura simile, anche se con conseguenze meno drammatiche, perché l’aereo partiva 12 ore dopo e non prima; il problema sta tutto nel fatto che 12:30 pm è mezzanotte e mezza e pm significa “dopo mezzogiorno”; così le 12:30 am, “prima di mezzogiorno”, sono le 12 e 30 di mattina; insomma, gli inglesi non usano lo 0, per indicare l’ora, e, se non lo hai studiato a scuola, finisci regolarmente nei guai. 😦
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Esatto! In realtà ero convinto di saperlo, si vede che mi sbagliavo… Eravamo tutti piuttosto stanchi e siamo incappati in questa svista. Ora però sono sicuro che non mi confonderò più, ho imparato la lezione… credo…
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Credo che sia stato un viaggio bellissimo. Comunque le sigle AM e PM le usano soprattutto gli anglosassoni ma sono di origine latina. AM sta per “ante meridiem” cioè prima del mezzogiorno. PM sta per “post meridiem” cioè “dopo il mezzogiorno”.
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Si è stato veramente un bellissimo viaggio! Non lo sapevo, grazie mille dei chiarimenti! Ho sempre pensato, erroneamente, che le sigle avessero origine anglosassone, proprio perché più comunemente in uso in Uk e negli Usa…
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